2021, 151min.
di Aleksandre Koberidze
con Giorgi Ambroladze, Oliko Barbakadze, Vakhtang Panchulideze
Recensione di Mauro Azzolini
Spoilerometro:

Un ragazzo e una ragazza si incontrano un giorno, in modo del tutto casuale, a Kutaisi (Georgia). Lo spettatore non li vede in volto, ma sa che dentro il cuore di entrambi nasce subito un sentimento che da lì a pochissimo li porterà a darsi appuntamento per conoscersi. Mentre Lisa – questo il nome della ragazza – rientra a casa viene messa a conoscenza di una terribile verità: sui due è stata lanciata una maledizione che, dal giorno dopo, gli impedirà di riconoscersi pur incontrandosi quotidianamente.
È da queste semplici premesse che parte e si sviluppa il terzo lungometraggio di Aleksandre Koberidze, presentato al Festival di Berlino 2021. Quella che però sembrerebbe a tutti gli effetti una storia d’amore, per quanto singolare e densa di ostacoli, è in realtà un racconto più articolato in cui il rapporto sentimentale rappresenta soltanto uno dei temi messi in campo.

Programmaticamente sembra, infatti, che il regista non voglia concentrare l’attenzione su nulla di specifico. Il punto di vista dal quale le vicende vengono osservate cambia in continuazione (a volte è la ragazza, altre l’uomo per il quale Giorgi e Lisa lavorano, altre ancora i cani randagi che popolano la città) e l’intera narrazione è accompagnata da una voce fuori campo che in modo di volta in volta differente commenta o indirizza la visione.
Uno stratagemma, questo, che per stessa ammissione di Koberidze richiama il modus operandi del cinema muto e soprattutto consente di infrangere simbolicamente la ‘quarta parete’ ed entrare in comunicazione diretta col pubblico (emblematica in questo senso è la scena della “trasformazione” dei protagonisti in cui viene chiesto agli spettatori di chiudere gli occhi per qualche secondo e riaprirli non appena si sarà sentito un segnale acustico).

Tutto è sullo stesso piano, dunque, perché tutto sembra contribuire in misura uguale a determinare la realtà. I due ragazzi sono solo apparentemente protagonisti del racconto e la loro storia, come si vedrà nel finale, è utile per rendere conto del ruolo offerto al cinema nella vita, ossia la capacità di fare da filtro per comprendere ciò che accade. Se l’oggetto descritto – a differenza che nella finzione metacinematografica che attraversa il film – non è la storia d’amore, ad essere posta sotto lo sguardo dello spettatore è allora la vita della città; non è Kutaisi a fare da sfondo a una storia d’amore, ma quest’ultima a rappresentare un pretesto per mostrare come la quotidianità si dipani in una città moderna.
What we do see è, però, certamente anche un’opera politica per la scelta di inserire una riflessione sul ruolo di esseri umani in questo particolare momento storico. La costruzione della parte centrale è magistrale da questo punto di vista: la prima sezione si conclude con una lunga scena al ralenti accompagnata dalle note di Un’estate italiana e lascia spazio a una sorta di intervallo in cui la voce del narratore interviene per denunciare l’assurdità dei comportamenti dell’uomo nei confronti degli animali, mentre scorrono le immagini dell’enorme fiume inquinato che attraversa la città.

Questa visione del film, del suo ruolo e della sua struttura è supportata da una fotografia straordinaria, capace di far risaltare – soprattutto negli esterni diurni – la tridimensionalità dello spazio. La città non rimane mai fuori fuoco e anche quando sembra che ciò accada, interviene prepotentemente ad occupare la scena. Così come il montaggio entra in relazione con gli spostamenti dei tanti personaggi consentendo che la stupenda colonna sonora ne segni il ritmo o svelando la sua funzione di finzione utile al gioco.
La vita di tutti i giorni, afferma Koberidze, è qualcosa in cui può succedere di tutto e il fatto che un evento sia raro non implica che non possa verificarsi. Il caso domina le cose; il cinema, grazie allo sguardo di chi lo realizza e di chi ne fruisce, può mettere ordine nel reale e contribuire a raccontare il fascino della quotidianità.
Voto: 5/5
Comments