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White Ant

  • traumfabrikblog
  • 3 lug
  • Tempo di lettura: 1 min

2016, 95min

di Chu Hsien-Che

con Wu Kang-jen, Aviis Zhong, Yu Tai-yan


Recensione di Arianna Alessia Armao


Spoilerometro:





Taipei, 2016. L’onda del Nuovo Cinema Taiwanese si allontana. Chu Hsien-Che muove i suoi primi passi nel cinema narrativo, rimanendo in qualche modo ancorato alla sua ventennale carriera di documentarista. Nasce così White ant, film drammatico che setaccia i bordi della gioventù di Taiwan tra disincanto, morbosità, colpa e incomunicabilità.


Tre vite si incrociano, impattando con l’indicibile del desiderio. I silenzi, i traumi, la devianza dalla norma non possono che risolversi nella tragedia: tutto per colpa di una società giudicante e inconsapevole. Un dramma collettivo che deve ripetersi da tempo, considerato che è facile ritrovarlo anche in letteratura (pensiamo a Città fantasma di Kevin Chen, di qualche anno successivo, e da poco arrivato in Italia).



Qualcosa nelle inquadrature e nella finezza dell’intreccio ci fa pensare ai grandi maestri, nonostante qualche goffaggine. Certo, non siamo di fronte a Tsai Min-liang, né tantomeno Edward Yang. Eppure abbiamo l’impressione di assistere a un esordio validissimo, che trascende i confini del dramma psicologico per restituirci un’immagine più completa, forse persino critica. 



Chi guarda non può non empatizzare con ogni persona ritratta sullo schermo (dalle figure protagoniste alle brevi comparse). Ci si rende anzi conto di come non ci sia cattiveria o intenzionalità nei piccoli crimini commessi, quanto piuttosto un infelice destino condiviso. Disciolto, comunque, in un perdono necessario. Non andiamo oltre nel tratteggiare queste storie, e vi auguriamo una buona visione.


Voto: 3/5

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