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Anora

2024, 139min.

di Sean Baker

con Mikey Madison, Mark Ėjdel'štejnm, Jurij Borisov


Recensione di Cristiano Lo Presti


Spoilerometro:





A tre anni dal precedente Red Rocket, Sean Baker, regista che si era fatto notare nel 2017 con lo splendido The Florida Project, torna al cinema con Anora, pellicola vincitrice dalla Palma D’Oro alla 77a edizione del festival di Cannes.


Il film parla di una sex worker, tema caro al regista già affrontato in Starlet (2012) e nel già citato Red Rocket (2021), che nello strip club in cui lavora incontra il figlio di un oligarca russo, il viziato e frivolo Vanja, con il quale nasce immediatamente una simpatia che con il passare dei giorni e delle settimane, in cui lui assolda la protagonista per una girlfriend experience, da mero opportunismo economico si trasforma in un’effettiva infatuazione. Durante un soggiorno a Las Vegas i due decidono di sposarsi, ma ad attenderli c’è la collera dei genitori del rampollo russo, decisi a separare la giovane coppia.



Anora è un film che vive di sfumature e incroci tra i generi, tra i quali prevale la commedia, peraltro molto divertente, in cui echeggia un certo umorismo nero e spietato caro ai fratelli Coen, condito da momenti puramente slapstick.


Al contempo è una modernizzazione della commedia romantica. Facile il richiamo a Pretty Woman del 1990, anche se in Baker quell’aura favolistica, che in un’epoca come la nostra risulterebbe stucchevole, sparisce per lasciare spazio a un racconto sugli sconfitti. Al di fuori dei ricchi e potenti genitori russi, tutti i personaggi che danno vita a questa storia sono dei perdenti, in un modo o nell’altro. Anora e Vanja, che rincorrono il proprio personale sogno americano, ognuno con i propri mezzi, T’oros e il fratello Garnik, scagnozzi della famiglia Zacharov, che nonostante gli atteggiamenti da “pezzi grossi” altro non sono che degli zerbini, servi preoccupati solo di non deludere i propri padroni.



A spiccare nel mucchio c’è Igor, interpretato splendidamente da Jurij Borisov, già incontrato nel magnifico Scompartimento N. 6 (che consiglio caldamente di recuperare): un picchiatore gentile che ancora vive con la nonna e sembra fare il suo lavoro controvoglia e per mancanza di opzioni, ma lontano dagli occhi del capo non manca di mostrare un certo disprezzo per le persone che serve.


E poi c’è lei. Anora, che preferisce essere chiamata Ani, ed è interpretata da una Mikey Madison che non può che diventare una star. L’attrice dà corpo e anima a questo personaggio così contraddittorio, grintoso e sperduto al tempo stesso come solo a vent’anni si può essere, in modo scoppiettante e luminoso. Riempie ogni inquadratura, buca lo schermo e non mi stupirei di vederla tra i candidati ai prossimi premi Oscar. Unico personaggio, il suo, ad avere la sfrontatezza di affrontare a muso duro la dispotica suocera, ma senza cadere nel cliché del personaggio femminile forte che, come un caterpillar, schiaccia con chiunque si trovi davanti in nome del proprio individualismo (o self-empowerment, come ci piace chiamarlo). Per citare la Rizzo di Grease, Anora è «tosta e dolce».



Poche volte, negli ultimi anni, sono uscito dal cinema tanto soddisfatto dalla visione di un film e probabilmente nessuna con tanta voglia di rivederlo immediatamente, rimanere in sala per lo spettacolo successivo, come in questo caso. Quindi certo, non stiamo parlando di un capolavoro, ammetto persino di aver trovato curiosa la Palma D’Oro a Cannes per un film che in fondo è una commedia, per quanto bella e sfaccettata. Ma il cinema è fatto anche di questo, tra tanti film di fattura certamente sopraffina che però vedi, dici “bello”, qualcuno dice “capolavoro”, ma poi non ti viene particolare voglia di rivedere, ogni tanto esce qualcosa di cui potersi innamorare. E vorrei che capitasse più spesso.


Voto: 4/5


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